Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessun altro.
(Mark Twain)
Sono passati cinquant’anni da quel fatidico 20 luglio del 1969 quando Neil Armstrong mise piede sul suolo lunare, a sei ore di distanza dall’allunaggio. Era la missione spaziale Apollo 11. L’equipaggio posò sulla superficie lunare una targa di acciaio inossidabile per commemorare lo sbarco e lasciare informazioni a ogni altro eventuale essere vivente che l’avesse trovata. Firmata dai tre astronauti, Armstrong, Collins e Aldrin e dall’allora presidente statunitense Richard Nixon, la targa riportava, assieme ai due emisferi del pianeta Terra, la seguente frase:
Here men from the Planet Earth first set foot upon the moon, July 1969, A.D.
We came in peace for all mankind.»
«Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, Luglio 1969 d.C.
Siamo venuti in pace, per tutta l'umanità.»
Era l’avverarsi di un sogno coltivato da millenni, era il rifiuto da parte dell’uomo dell'idea della sua finitezza e della sua solitudine nell'universo, era il sogno coltivato da Leonardo di mettere le ali e librarsi nell’aria come gli uccelli, dell'Astolfo ariostesco alla ricerca del senno perduto di Orlando, era il concretizzarsi delle imprese immaginate da Jules Verne: arrivare sulla luna, il nostro satellite, tanto familiare quanto irraggiungibile. Ma fu, contemporaneamente, la fine di un altro sogno spento dal principio di realtà, che privò la luna, la Casta Diva cantata dai poeti e dagli amanti, della sua aurea magica e perturbante: colei che, già in età neolitica, fu capace di svelare agli uomini l’esistenza dei cicli astronomici condizionandone gli umori, signora del tempo e, tout court, della vita e del suo divenire.
Tuttavia un festival come Dromos, a trazione prevalentemente musicale, non poteva sottrarsi al confronto con un altro evento che, metaforicamente, può tradursi, anch’esso in un allunaggio. Tra il 15 e il 18 agosto di quello stesso anno, a Woodstock, fu il mondo della musica rock a toccare la luna, in un ‘69 musicalmente entusiasmante in termini quantitativi e qualitativi, fu riconosciuto come l'evento simbolo e l'apice della generazione del flower power, suggello di una produzione discografica che segnò la storia del rock e che ancora, mezzo secolo dopo, suona attuale e fa scuola. Ma a livello sociale, politico e di costume, la luna di Woodstock venne eclissata, quattro mesi dopo, sempre in quel fatidico ‘69, dall’Altamont Free Concert, tenutosi in California il 6 dicembre e organizzato dai Rolling Stones a conclusione del loro tour americano. Altamont, col suo epilogo violento, segnò, per quella generazione, "la fine delle illusioni", divenendo il simbolo delle numerose utopie e delle altrettanto numerose cadute contro le quali si scontrarono i giovani di allora, alla ricerca di una luna conquistata e subito perduta.
La XXI edizione del festival Dromos, dedicata alla Casta Diva e al recupero della sua pregnanza poetica, ne rileggerà i miti, ne ricercherà l’arcana fascinazione capace di spargere in terra “quella pace” vanamente invocata dalla Norma belliniana, ne indagherà quel lato oscuro che tanto la accomuna, simbolicamente, all’essere umano, perché ognuno di noi è una luna, col suo lato oscuro che non mostra mai a nessun altro (Mark Twain).
Lo farà con la musica e attraverso l’arte in tutte le sue forme: un nuovo allunaggio per constatare magari, assieme al visionario Astolfo, che sulla luna sol la pazzia non v’è poca né assai / che sta qua giù, né se ne parte mai.
Ivo Serafino Fenu