«Posso resistere a tutto tranne che alla tentazione», così affermava Oscar Wilde in uno dei suoi più famosi aforismi e il Festival Dromos, che nel 2020 festeggia la sua 22esima edizione, farà delle tentazioni il suo tema portante. Ma, per le regole imposte dalla pandemia, saranno, per il pubblico che da anni segue il festival, tentazioni parzialmente “a distanza”, facendo il verso alla didattica “subita” dagli studenti, dai docenti e dalle famiglie al tempo del Covid_19. Ma se la distanza si è spesso rivelata antitetica alla didattica così non può essere per le tentazioni che, in quanto tali, non possono rimanere inevase e necessitano di essere vissute “in presenza”, seppure con tutte le precauzioni del caso.
In quasi tutte le culture religiose, del resto, la tentazione ha un’accezione negativa: è, per definizione, indotta dal Maligno e cedervi è peccato. Ogni religione ha elaborato, così, strategie e strumenti di resistenza, per fuggirla, per liberarsi e liberarci dal male, perché la Tentazione è il Male o, almeno, la breccia attraverso cui il male può fiaccare la volontà e prevaricare l’individuo. Essa stessa diventa, in quest’ottica, prova iniziatica con la quale confrontarsi per raggiungere la virtù e la salvezza, e a tale prova, prima o poi, nessuno può sottrarsi.
Adamo ed Eva assaporarono il frutto proibito nel Giardino dell’Eden, Cristo fu tentato da Satana e gli stessi Budda, Zarathustra e Maometto vennero messi a dura prova dalle lusinghe della tentazione, come ben raccontano i testi sacri e le stupefacenti e spesso perturbanti opere pittoriche realizzate dai grandi maestri del passato che, anche loro, non seppero resistere, tautologicamente, alla tentazione di rappresentare le tentazioni, della carne e dello spirito.
Tuttavia Dromos – fuori da moralismi o dispute dottrinarie –, affronterà il tema attraverso il punto di vista decisamente più laico e spensierato di Oscar Wilde, dell’impossibilità di opporvisi perché l’unico modo per resistere ad una tentazione è cedervi. Le tentazioni di Dromos saranno, come da tradizione, soprattutto musicali, col jazz a fare da attrattore, interagendo con l’arte contemporanea, la fotografia, il teatro, il cinema e la letteratura. il Festival Dromos continuerà a essere, nonostante il difficile periodo che tutti abbiamo vissuto e che in molte realtà si sta ancora vivendo, un evento caratterizzato dalla presenza di artisti di livello internazionale, nazionale e regionale, in una pluralità di generi musicali e artistici calibrati al fine di ottenere un’efficace sintesi tra dimensione globale e locale, proponendo una lettura trasversale delle istanze culturali, sociali, politiche ed economiche della realtà contemporanea nella sua attuale fase critica.
A far da sfondo, ma sarebbe più corretto dire, a interagire in un ruolo di comprimari, i più suggestivi spazi urbani o naturali dei comuni dell’Oristanese che aderiscono quest'anno al "circuito" di Dromos, per un “festival dei territori” aperto al mondo, sostenuto dalle comunità locali assieme agli enti sovracomunali e istituzionali, gli Assessorati regionali al Turismo e alla Cultura, la Fondazione di Sardegna e, da questa edizione, la società di telecomunicazioni Tiscali, basata sul concetto, condiviso dal festival, di “imprenditoria illuminata”.
Proprio i prestigiosi spazi del campus di Tiscali a Sa Illetta, ricchi di tecnologia e cultura contemporanea, avrebbero dovuto ospitare nei giorni del festival, in un dialogo serrato con le opere permanenti di noti artisti di fama internazionale, l’esposizione di una parte significativa della Collezione Mameli, focalizzata sulla produzione e sui percorsi estetici delle nuove generazioni di artisti sardi (tra loro, per citarne solo alcuni, Giuliano Sale, Pietro Sedda, Silvia Argiolas, Silvia Idili, Roberto Fanari, Gianni Casagrande, Vincenzo Pattusi, Massimiliano Rausa e Paolo Pibi) operanti nell’Isola e selezionate dal gusto e dalle “tentazioni” di una figura fortemente attuale e necessaria, ma dal fascino antico, qual è quella del collezionista privato. L’emergenza pandemica e le conseguenti difficoltà organizzative e fruitive della mostra ci hanno costretto a una totale rimodulazione della stessa e, come per molti eventi culturali, alla sua trasformazione da fisica a virtuale, nella consapevolezza dei limiti di tale scelta ma, altresì, nella certezza che le potenzialità della rete e il supporto mediatico del portale Tiscali, potessero, in termini di visibilità e di fruibilità, sopperire all’assenza dell’aura dell’opera d’arte e ampliarne, viceversa, la forza.
Tentazioni culturali dunque, plasmate sulle peculiarità della Sardegna centro-occidentale – dalle sue coste alle sue montagne –, che caratterizzeranno un festival la cui finalità è quella di mantenere un forte legame col territorio, con le sue tradizioni popolari, la sua cultura materiale e il suo patrimonio enogastronomico. Un intreccio di relazioni tra aree geografiche distanti, tra popolazioni e tradizioni culturali diverse che in Dromos si incontrano e si confrontano, in una circolarità che, partendo dal paese, al paese ritorna, perché, per dirla con Cesare Pavese, un paese ci vuole. Tentazioni destinate a trasformarsi in quel frutto proibito seduttivo e ammaliante, al quale non si può dir di no perché il segreto della felicità è cedere alle tentazioni (O. Wilde).
E Dromos – con quel pizzico di follia e di positiva utopia che da sempre lo caratterizza –, si pone, dunque, l’obbiettivo di riverberare quella “felicità” sui territori e sulle comunità che vivono e investono nel festival, stimolando o riattivando quella condizione umana della “restanza”, in bilico tra resilienza e resistenza. Restanza è, infatti, desiderio di restare, è una condizione interiore e, al contempo, la consapevolezza della fatica materiale di chi sceglie di rimanere in un determinato luogo, legato alle proprie radici, perché restare nei paesi d’origine non è sterile nostalgia ma scelta consapevole, certezza di trovare in quegli stessi luoghi nutrimento per il corpo e per lo spirito.
Se poi, alla figura del “restante”, si somma quella del “ritornante”, di colui che, abbandonata la sua terra per costrizione o, talvolta, per curiosità e necessità intellettuale, decide, – una volta acquisito o consolidato un patrimonio esperienziale più strutturato – di tornare, si attiva un processo virtuoso di quel “ripopolamento culturale” che sta divenendo oggetto di studio per la cosiddetta Antropologia della Ritornanza: un fenomeno che Dromos, quest’anno, intende promuovere e incentivare attraverso le sue irresistibili Tentazioni, superando, attraverso i multiformi linguaggi dell’arte, ogni forma di distanza.
Ivo Serafino Fenu