E quindi a Nurachi il piccolo festival del cinema si è chiuso. Si è chiuso con un film duro durissimo. Che quando Paola si è seduta, lì davanti, e ci ha guardati un attimo negli occhi prima di cominciare a parlare, io ho pensato Ecco, ora cominciano di nuovo i numeri che mi mettono il mal d’umore. E questa volta il numero è stato solo uno. Duecento milioni, il numero dei pastori che in tutto il mondo faticano per regalarci il miracolo del latte. Duecento milioni di uomini e donne, che macinano i passi uno dopo l’altro, in Tibet o in Perù, nel Kurdistan o in Sardegna, passi di monte e passi di pianura. Passi di cui fingiamo di non vedere l’orma, passi invisibili.
Passi, uno dopo l’altro, piano piano,
che solo camminando ci facciamo,
ci facciamo grandi, un giorno dopo un giorno,
passi tutti insieme, passi di ballo tondo.
E Paolo Carboni e Marco Antonio Pani quei passi un giorno hanno deciso di cominciare a seguirli, e il 10 di luglio del 2010, quando i pastori di Sardegna hanno deciso di bloccare gli accessi all’aeroporto di Cagliari, il 10 di luglio Paolo e Marco Antonio si sono alzati dalle loro sedie e hanno cominciato a camminare. E lo hanno fatto per due anni interi, seguendo la lotta dei pastori, e vincendo la diffidenza di quei volti giovani e già pieni di strade, che piano piano hanno capito che c’è un solo modo di esistere veramente, e quel solo modo è entrare dentro il cammino di un racconto.
Così è nato Capo e croce. E allora passi, passi insieme, dentro un bianco e nero carico, per allontanare dallo sguardo la cartolina mare turchese e nuraghetto sullo sfondo, per vedere che cosa è davvero l’Isola, che cosa è diventata.
Per raccontare, passo dopo passo, le ragioni dei pastori e non quelle dei turisti.
E allora passi, passi in strada, e passi sulla terra,
passi di corsa, in fuga, che dall’orizzonte sale la guerra,
passi di rivolta che battono dentro il cuore in festa,
e colpi di manganello sulla testa.
E allora ci siamo messi a camminare dentro il film, e si comincia con la forza di una sfida, Io stanotte dormo qui, nel buio, e farò finta di non avere paura. E poi i primi passi, e Cagliari, e i campanacci sotto al palazzo della Regione, che Senza risposte i pastori non si muovono di qui, di qui nessuno deve uscire. Ed è soltanto l’inizio, e già ci ho il groppo, sotto alle parole, e Giovanni che dice, con le dita impastate nel formaggio, Guarda, questa è la vita, e a noi che creiamo questa vita ci manganellano, mica a quelli che fanno la varechina.
E il 27 di dicembre si sale in nave, e vissi d’arte e vissi d’amore, ed è a Civitavecchia che l’Italia ci mostra chi siamo davvero, per loro. Duecento sardi chiusi in un recinto, in spregio ad ogni diritto costituzionale, e passi, passi muti. E Priamo, ammanettato e manganellato, e Non è colpa loro, glielo insegnano, ai poliziotti, che la gente è cattiva, che bisogna averne paura. E sorride, Priamo, e sono passi, e passi. E allora buttiamolo, il latte, così lo vedi se gli industriali si cagano addosso, e Tore ci ha uno sguardo che è profondo un mare intero da camminare, e il latte è sacro, ma fino a un certo punto, finché non ci fanno arrabbiare. E di nuovo proteste, ad Oristano. E poliziotti. E anche la giustizia si sta vendendo. E più si aspetta e più si muore. E sono passi, ancora, e proteste a Porto Torres. E poliziotti. E Michele, che Serve un sindacato nuovo, nuovo, e bisogna rifarlo da capo, rifarlo dal popolo. E di nuovo proteste, a Olbia. E poliziotti. E dimettetevi tutti, che ci avete portato alla fame, dimettetevi. Solo così dimostrate di essere persone oneste. E passi, passi, elicotteri e poliziotti. E siamo sempre punto e a capo. Sempre a zero. Sono un cittadino, sono in terra mia. E perché non ci posso camminare, io, nella terra mia, con lo sguardo alto e i passi fermi?
E i passi, però non si devono fermare,
che è un dovere camminare, con il vento in faccia,
e il cuore grande tenuto in mano,
e camminare, e camminare, passi e passi che prima o poi vanno lontano.
Che dopo, quando il film è finito, avevamo tutti una rabbia invincibile dentro il corpo, e la signora che si è alzata ha detto Adesso diteci che cosa possiamo fare. Vincere la nostra debolezza, questo possiamo fare, tenerci in cuore la faccia di Michele che dice Questo doveva essere un paradiso terrestre, ci vuole così poco, per fare un aprile. Ci vuole poco, ci vuole coscienza. Non è più tempo di camminare da soli. E se davvero, per una volta, ci dimenticassimo il volo solitario, e diventassimo uno stormo? Guardateli, gli uccelli in volo, ogni tanto. Ognuno ha la sua direzione, ognuno il suo gioco e il suo arabesco, eppure tutti insieme fanno il miracolo dell’unione. E i passi, così, sono davvero più belli.
Sono i passi, i piccoli passi, che fanno il cammino lungo,
i passi che valicano le montagne, il passo rumoroso del gigante,
il passo, piano piano, nella notte, il passo vigoroso del camminante.
E oggi qui, nel santuario di Villanova, un cielo tutto diverso. Qui suonano Karl Hector & The Malcouns. E saranno passi dentro una musica rimescolata, meticcia, che mette insieme il jazz con il funk, e il cielo pastello di Germania con lo scirocco rovente del Sahara. Che Dromos è così, un viaggio vasto, di passi in lungo e in largo. E questa è una delle cose che mi piacciono di più, di questo festival. Che è un cammino, una carovana, un disegno che ci porta in giro per il mondo in poco spazio. Perché basta davvero saper guardare, saper scegliere dove muovere i passi, e davvero l’Eden è sotto i nostri occhi, ci vuole così poco per fare un aprile.
Davvero, come scriveva Jorge Luis Borges, Dio non poteva creare altro che un Paradiso. L’inferno, la Caduta è sporcarlo, rovinarlo.
L’inferno è non accorgersi che il Paradiso sono i nostri passi, ora e qui.