DromosFestival

#12 DROMODIARIO. [Distratto]

10 agosto – Morgongiori Hypnotic Brass Ensemble

E quindi ieri Dromos è andato a Villanova Truschedu. E mentre salivo su al santuario di San Gemiliano c’era un buio profondissimo, con il cielo laggiù, viola e rosso, e le stelle che erano già un popolo luminosissimo, e l’acqua, che spunta dappertutto, qui intorno ad Oristano, che è un territorio così bello e superbo che ha continuamente bisogno di specchiarsi, e gli olivi con le foglie tutte argentate dalla luna piena, e io ci camminavo dentro, guardando distrattamente tutta quella bellezza. E insomma credo di aver perso qualche cartello, qualche parola, qualche indicazione, perché il santuario non arrivava, e quindi sono tornato indietro, e mi sono perso di nuovo, e poi alla fine l’ho trovato. E però ho pensato che ho fatto bene a distrarmi, altrimenti mi perdevo tutta quella bellezza.

 

È stato un attimo, mi sono distratto, ed è successo tutto, tutt’a un tratto,

mi sono distratto, e il tempo mi ha derubato poco a poco,

ed è così, è così che si cresce e si cammina, lentamente,

prendendo piccoli piccoli frammenti di senso, distrattamente.

 

E il concerto di Karl Hector and the Malcouns a un certo punto è cominciato, e l’ambiente, all’inizio, mi è sembrato un po’ freddino. Cioè, loro sono proprio simpatici, intendiamoci, chiacchierano con il pubblico, scherzano, sono simpatici. Però c’era qualcosa per cui non riuscivo a seguirli, ero terribilmente distratto, sarà stato che San Gemiliano è un luogo davvero bello, e la chiesa barocca, e i muristenes, e il nuraghe là dietro, e l’olivo millenario che era lì che mi guardava, occhi negli occhi, grande immenso monumento al tempo che passa solo per noi, mentre la natura è sempre lì, che ci guarda passare, e anche quando ci guarda, ci guarda solo per un attimo, e distrattamente, che ha cose più importanti da fare.

 

È un attimo e sono distratto, perduto dentro un lago inquieto di pensieri,

e la musica di oggi si mischia con la rabbia di ieri,

e mi imbroglia, questo litigio enorme delle forme,

e ci ho in testa che Il tempo è un signore distratto,

è un bambino che dorme.

 

E bisogna che mi svegli, che il concerto sta andando avanti, e loro sono davvero proprio simpatici, fanno battute, scherzano. E poi arriva un brano con il flauto traverso, e provo a seguirlo, e però c’è uno alle luci che ha proprio fantasia, ed è troppo bello stare a guardare le foglie degli olivi, là, sopra il palco, che diventano di tutti i colori. E io inizio a chiedermi come si sente un olivo, quando gli trucchiamo le foglie di arancione, o di viola. Ho pensato a un olivo insuperbito dalla bellezza della luce. Ho pensato a un olivo travestito a carnevale. Un olivo che balla ancheggiante, travestito da drag queen. E insomma mi sono accorto che mi ero di nuovo distratto.

Che oggi è proprio un attimo distrarsi,

la mente viaggia dentro questa musica di fumo,

distratta mente, come un insetto che ronza in una stanza

distratta come una vacanza.

 

E poi è arrivato un po’ di Sahara, e sono riuscito a seguirlo, con quelle melodie come piccoli serpenti morbidi e sinuosi sulla sabbia. E quel ritmo dispari, che andava giù, giù a sud, verso le dune. E poi è cominciato un pezzo tiratissimo, e siamo finiti in autostrada, autobahn, centotrenta chilometri all’ora. Ed è arrivato il cinema, da qualche parte, cinema d’azione, quello pieno di inseguimenti e sparatorie, e missioni impossibili. E loro sono davvero simpaticissimi, fanno un sacco di battute, ridono, scherzano. Però il cinema che mandano è quasi divertente, mi ricorda i nostri film di serie B degli anni Settanta, tipo La malavita attacca, la polizia risponde, oppure Provincia violenta, o anche Fango bollente, cose così, un po’ Tarantino, un po’ panino con la mortadella, nel pomeriggio. E loro sono davvero simpatici, simpaticissimi, battono le mani e a un certo punto il chitarrista, che sembra uscito da una foto di Bouvet, fascia nei capelli lavati il mese scorso e camiciona da figlio dei fiori, scende in mezzo al pubblico e fa per ballare, e c’è una ragazza che ci crede moltissimo e si butta sotto palco per ballare con lui, e siamo davvero in un Eden psichedelico anni settanta, nel blu sotto gli ulivi, ma è un Eden vagamente apocalittico, un Eden in cui alla fine restano cinque persone a parlare di una possibile rivoluzione. O così mi è parso, ma non saprei dire bene, che ero un po’ distratto.

 

È così, ci sono giorni in cui sono davvero, davvero distratto,

il tempo è poco

e c’è troppa, troppa carne sul fuoco,

c’è la luce e c’è il buio che mi confonde

e ci ho in testa che via via via da queste sponde

portami lontano sulle onde.

 

E oggi, qui a Morgongiori, suona l’Hypnotic Brass Ensemble, che sono otto fratelli di Chiacago che hanno studiato fin da piccoli il jazz in casa. Ma poi la gran parte del tempo lo trascorrevano in strada. E si sono distratti un attimo e il jazz e la strada si sono mescolati, che non lo sai mai cosa succede se ti concedi anche il miracolo della distrazione.

Che forse anche qui sta uno dei segreti del giardino. Uscire dai sentieri, infilarsi dove non avevi immaginato, scoprire vie, accorgerti che il giardino ha anche fiori e frutti del tutto imprevisti, che la bellezza sta anche lì, proprio lì dove non la stavi cercando, sta nei passi che non avevi progettato.

Che come sapeva bene Oscar Wilde, quel saggio travestito da buffone,

 

La vita è quello che accade

mentre stai parlando d’altro.

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