Che poi a me piace proprio arrivare a Nureci. Arrivarci prima, prima che tutto cominci, e godermi le stradine vuote, il sole, l’aria fresca. E le bolle di sapone nel cielo, e il blues che mi cammina accanto, per le strade.
Che anche quest’anno, arrivarci di pomeriggio tardo, a Nureci, è stato come entrare all’improvviso dentro una fiaba. Che se ci penso bene, basta poco, a fare una fiaba. Bastano pochi dettagli, ma che siano quelli giusti, e diventa una fiaba anche una stradina deserta.
Che poi chissà se esiste davvero, il deserto. Quando uno dice deserto tutti si immaginano il nulla caldissimo e vuoto, ma se lo guardi più da vicino, quel nulla è pieno di cose, di onde sulla sabbia, di miraggi, che è solo una parola rovente per dire sogni, e di là, proprio lì, oltre la duna, sicuramente c’è un’oasi, piena di desideri e di ambizioni, un’oasi piena di promesse.
Ecco, io ieri arrivando a Nureci ho pensato che questo paese è una promessa, una promessa mantenuta, anche, un piccolo paese nel centro della Sardegna, che combatte per il suo sogno, che tiene pulite le sue strade, colorati i suoi muri, fresche le sue acque. Intorno potrà anche esserci un deserto, ma basta poco a fare un’oasi, un’oasi blues nel pomeriggio di bolle di sapone.
Basta poco, bastano i piedi e impari a camminare,
basta un prato per imparare a dormire,
uno sguardo di chi ami, per dimenticare,
una pagina bianca, per cominciare a ricordare.
E poi sono arrivate le otto, e c’era l’incontro con il pubblico di Francesco Piu. E lui si è messo lì davanti, senza microfono, ha cantato un brano, e poi ha cominciato a raccontare. Di suo zio che suonava con Buscaglione, dei dischi, della psichedelia e dei Led Zeppelin. E il pianobar, e i primi concerti e le prime vittorie. E il giorno che è tornato a casa con il vinile autografato, Guarda babbo, ho suonato con questo qui che suona nel vinile, e il coraggio, e un liutaio sul lago di Como, che volge a mezzogiorno, e quattro corde di chitarra e due di basso. E l’anima acustica e quella elettrica, e lo slide fatto con il collo di una bottiglia, ma che sia Nieddera. Ed era davvero poco, pochissimo, una voce che racconta, una chitarra blues che suona sotto a un lampione. Eppure in quel poco eravamo tutti lì fermi ad ascoltare.
Che basta poco, appena una scintilla, una fiamma, un fuoco.
Basta poco, il sole cala, la notte ci ricopre e ricomincia il gioco.
Ed è cominciato il concerto. E sono saliti sul palco Anna Cardia e il suo chitarrista, e anche lì era pochissimo, quello che c’era, una voce bella lanciata su nel cielo, e una chitarra ben suonata.
Eppure in quel poco c’era un mondo, il mondo di Anna che cantava proprio di quando si attraversa il deserto. Ognuno ci metta dentro la sua emozione, ha detto Anna, e mentre cantava io ho sentito tutto il dolore che c’è dentro un abbandono, e tutta la forza che si può usare per mettere un poco d’acqua sopra la speranza, e farla fiorire, anche solo un poco, anche in mezzo al deserto.
E giù sotto il palco, c’era il sindaco. Che mi ha stretto la mano, mi ha abbracciato e mi ha detto, sorridendo, E abbiamo cominciato. E io ho pensato che cominciare è una parola bellissima, piena di speranza e di desiderio. Ho pensato a come mi sento bene ogni volta che comincio qualcosa. Ho pensato che in fondo, per essere un po’ più felici, basta solo cominciare.
Basta una piccola luce che filtra dalla serranda
e arriva il risveglio, basta una goccia d’acqua sul trifoglio,
basta un barbaglio sopra il muro per cominciare un racconto.
Basta un attimo, perché torni il conto.
E poi Francesco Piu è salito sul palco. Ed è un groove potentissimo, di pianura spalancata, di cammino largo, e subito ha cominciato a giocare con il pubblico, a divertirsi, e c’era Giovanni che ha diciotto anni e viene da Berchidda, che picchiava duro, durissimo il suo sogno sopra la batteria, ed è bastato davvero poco, pochissimo, ed eravamo di nuovo, tutti quanti, su quella strada al crocicchio con il diavolo, là dove il blues è cominciato.
E poi Francesco ha preso una chitarra e se l’è poggiata sulle gambe, e il suono è diventato di mare e di vetro, che c’era in scena il collo di bottiglia di Nieddera, che basta davvero poco, e il blues diventa un Mississippi che sa di terra e di mare nostro, di pietra di Asinara e di Argentiera. Che quello lassù è un musicista vero, di quelli che usano la chitarra con la stessa facilità con cui noi comuni mortali ci leghiamo le scarpe, o versiamo l’olio sui pomodori. Che invidia. E che potenza in quel suono felice, ecco era un suono felice, quello, e ballavate, ballavate, che Francesco è uno che ha il dono dell’entusiasmo, e mette gioia addosso, e il deserto a un certo punto smette di esistere, che quando una piccola oasi si mescola con un’altra piccola oasi, piano piano il deserto scompare.
Che basta poco, una goccia e la macchia si allarga,
basta poco, un poco di vento, e l’onda si solleva.
Per sollevare il mondo, lo sanno anche i bambini, basta una leva.
E oggi sale sul palco Goumar Almoktar, in arte Bombino, che viene da una tribù Tuareg del Niger. Goumar appartiene a un popolo che combatte da secoli per l’indipendenza, che cerca incessantemente la sua libertà, e quindi è uno che li conosce davvero bene, i deserti, e i cammini da fare per uscirne, e anche quelli per tornarci quando serve. Che basta davvero poco, per fiorire dentro il deserto, per far fiorire il deserto e trasformarlo in un Eden imprevisto. Basta poco, come diceva Emily Dickinson, perché il giardino cominci a germogliare,
occorrono soltanto un trifoglio e un'ape.
Un trifoglio, un'ape, e il sogno.
In verità anche il sogno
può bastare.