E quindi abbiamo cominciato.
Cioè, a dire il vero, per un attimo abbiamo anche visto l’inizio di Dromos fuggire via come un cane bagnato. Che ieri, qui, a Mogoro, è arrivato imprevisto un cielo color guerra, e ci ha rovesciato addosso un monsone.
Allora ce ne siamo fuggiti tutti sotto a un gazebo, stretti stretti, a frugare dentro la speranza che la pioggia passasse, con i piedi bagnati, e i capelli bassi, e i biglietti che speriamo non si infradicino, e le felpe che non si trovano. E sono sicuro che luglio rideva, da qualche parte del mondo che non so, in qualche Eden lontano. Luglio rideva dello scherzo che ci stava facendo, piccolo piccolo serpente, e diceva
L’imprevisto è una mela morsa storta che non vi racconterò.
L’imprevisto è un ragno, che chissà perché ha sette zampe.
L’imprevisto è un lupo che non voleva le zanne.
Ma poi, poi la pioggia per fortuna è passata, se ne è andata a bagnare altri tetti, lontani, e allora, vi giuro, ho visto tappeti volanti su tutta la piazza del Carmine, a festeggiare il cielo di nuovo spalancato, che sembrava una notte di Sheherazade, mentre noi giù, con le spugnette e gli stracci, asciugavamo le sedie per non farvi volare tutti bagnati.
E poi è cominciato il concerto. E non so se sarà stata la pioggia, o l’umido che avevo nelle idee per l’emozione, ma a me la musica di Ibrahim Maalouf, all’inizio, è sembrata musica d’acqua che sale, sale in piena, e viaggia aperta, larga, proprio come un acquazzone d’estate.
L’imprevisto è un musicista, che allunga un dito verso il cielo.
L’imprevisto è un canto, che guarda il cielo per indicare una via.
L’imprevisto è un albero, che vuole i piedi per camminare.
E poi è arrivato davvero il Libano, dentro la musica, e il profumo di zenzero e di cardamomo, e l’aspro del cedro. E le carovane, e il viaggio lungo il cammino delle spezie. Gli spazi piccoli delle viuzze inesplorate. Gli spazi grandi delle distese di tempo che si guardano da lassù, dalla storia millenaria di Beirut.
E poi vi siete messi a fischiare, tutti insieme, con Ibrahim, e io ho chiuso gli occhi, ed è stato come vedere uno stormo di lucciole in volo.
E Ibrahim a un certo punto si è messo a suonare da solo, un canto piccolo e un po’ triste, e gli uccelli della notte, o chissà quali altri esseri del cielo, facevano chiù, chiù, da lontano, e poi si sono aggiunti anche i cani, con le loro note, anche quelle un po’ dolore un po’ rabbia, e poi sono arrivate anche le campane, e Ibrahim continuava a suonare con tutta Mogoro dentro quelle note piccole, e io ho pensato Quanto cuore può contenere un uomo, prima di esplodere?
E infatti poi è esploso, subito dopo, e c’era Beirut devastata, e rinata, e i tuoni elettrici dei Led Zeppelin, e i graffi sopra il muro, e camminare, camminare, camminare che il viaggio non si ferma.
L’imprevisto è la notte numero mille e due.
L’imprevisto è una donna che non la smette di raccontare,
perché il racconto è vita che non puoi prevedere,
e se ci pensi troppo c’è da perdere la testa.
E infatti oggi aspettavamo un maestro del raccontare, qui, a Mogoro. Si chiama Bruno Tognolini, e scrive poesie meravigliose che gli altri chiamano filastrocche ma lui sa che sono poesie che sono ancora piccole, e hanno gli occhi stupefatti dell’infanzia. Perché Tognolini è un uomo che non ha perduto il bambino re del mondo, quello che guarda con stupore tutto quanto, e inventa le parole giuste per raccontarlo. Ma si sa che i bimbi a volte si prendono la febbre, o cadono, o si sbucciano le ginocchia: scivolano sull’imprevisto.
E quindi oggi, su questo palco sentirete la musica nordica, siderale, del trio di Antonio Farris. Un uomo in simbiosi con il suo contrabbasso, a cui chiede abissi e stelle, ombre piccole, e moltissima luce. Sono tutti musicisti di grande fascino ed esperienza, e voi ascoltateli per la bellezza della loro musica, per la ricchezza del viaggio che sapranno farvi fare, per le regioni del suono in cui vi condurranno. Ma ogni tanto, solo ogni tanto, ascoltateli anche come si guardano le venature nel marmo, le linee che spezzano le geometrie troppo rigide, il pulviscolo che arriva a interrompere il raggio di luce e lo fa splendere. Le rotture dell’equilibrio, che arrivano a sorprenderci, e a farci il tempo sempre sorprendente.
Perché l’imprevisto ci racconta un altro segreto del giardino: l’Eden a misura dell’uomo ha strade nascoste e imprevedibili, da godere istante dopo istante, anche e soprattutto nei piccoli o grandi miracoli inattesi. Perché, come diceva Hermann Hesse,
Non è facile avere un bel giardino: è difficile come governare un regno.
Bisogna amare molto anche l’imprevisto.