DromosFestival

#6 DROMODIARIO. [Dal confine]

3 agosto – Villaverde Tingvall Trio, Beat

E ieri, a Baratili, abbiamo sperimentato il concerto al confine, il concerto in trincea, il concerto limite. Quello che da un momento all’altro potrebbe finire cancellato dalla pioggia, come i disegni sul marciapiede di Mary Poppins, colore che viene via nell’acqua, linee che si sfocano, e più nulla, solo vestiti fradici.

Che non c’è niente da fare, quest’anno l’estate se n’è andata in vacanza, non so dove, si è distesa su un asciugamano da qualche parte, crema solare, musica nell’i-pod, un buon libro e al diavolo: vacanza. Sciopero. Quest’anno non ho voglia di lavorare, mi riposo, che piova, e tanti saluti.

E noi ci siamo trovati a Baratili, al confine, sulla frontiera dei temporali.

 

E dal confine il mondo è una pallina distante, un gioco, uno scioglilingua.

Dal confine le bandiere sono stracci stesi ad asciugare.

Dal confine solo rosso corallo all’orizzonte, e silenzio buono da masticare.

 

Che mentre arrivavo a Baratili, in cielo si organizzava una specie di Iliade, con gli eserciti contrapposti, quello rosso acceso del sereno da una parte, e quello viola carico della tempesta, dall’altra. E la strada verso Baratili era proprio in mezzo, sinuosa frontiera in mezzo alle risaie. E io ho pensato Non so come andrà, ma certo sarà uno spettacolo.

E poi sono arrivato, e c’era Salvatore che non era per nulla preoccupato, e che mi ha raccontato un sacco di cose della storia del festival, e poi un bicchierino di vernaccia, e Lidia e il suo amore per i libri e per i frutteti, che in fondo sono un po’ la stessa cosa, e c’era la Luna e anche qualche stella, e forse riusciamo a farlo, questo concerto al confine, senza bagnarlo troppo di pioggia fuori tempo.

E Cipo era davvero agitatissimo, sempre al telefono come un generale che dalla trincea sente come vanno le cose negli altri reggimenti, e a Irgoli pioggia, pioggia in montagna e pioggia sulla pianura, e qui che facciamo, qui ancora non piove, ma si vedono i fulmini, in giro, fulmini e tuoni per ogni dove.

E io ho pensato che

 

dal confine il mondo viaggia più in fretta.

Dal confine, i desideri sono sconfinati, e le lettere d’amore si scrivono meglio,

e c’è ancora il tempo per un’ultima sigaretta.

Che è davvero un sogno pieno di follia, organizzare un concerto,

qui, proprio qui, sul confine.

 

E poi sono saliti sul palco Manu Dibango e la Soul Makossa Gang, e anche se tutto intorno lampeggiava, qui no, qui non pioveva, e dal palco si vedevano i fulmini, a ovest e a sud, e chi se ne importa, si suona, e il Leone d’Africa ha cominciato a ruggirci il suo sassofono, e Bollingo, e Danebabbandobà.

 

E avete cominciato a scatenarvi, là, sotto il palco, e ogni tanto c’era un tuono, là verso est, ma proprio non ce n’è importato nulla, a noi eroi del confine, e si balla, e si muove ogni angolo del corpo, che questa è musica che non molla, Fula, Fulà, Fulà, Oh Oh! E le urla, le urla di quel sassofono di ottant’anni che grida in faccia al cielo Io voglio suonarla, la vita, questa sera, e i fulmini, che rispondono sdegnati, e sono crepe magnifiche nel cielo nero, ma non hanno il coraggio di avvicinarsi a questo lembo d’Africa, a questa savana di Baratili, Wachiwarà.

E poi arriva la rumba del Congo, e la canta e la balla Celine, la cantante tutta curve e ricci neri, e che parla un italiano piccolo piccolo, di poche parole, quasi giuste, e accende ancora di più i soldati del confine, ancheggiando burrosa, meravigliosa. E i fulmini, là, nella lontananza, che non smettono, ma hanno paura di farsi vicini, e l’abbiamo vinta noi questa battaglia, stasera, e il confine della verosimiglianza l’abbiamo spostato ancora un poco più in là. Fulà. Fulà.

 

E poi dal confine, le feste sono ancora più grandi,

il vino è rosso, color del mare, e i racconti crescono meglio, accanto al focolare.

E poi dal confine vengono le domande più belle. Che colore ha, dopo, la stanchezza?

Che cosa sognano, i coralli, quando è finito il tramonto?

Che rumore fa, la notte, quando cade?

E, soprattutto, esiste davvero, il confine?

 

Per esempio, oggi qui, a Villaverde, dentro il Bosco Mitza Margiani, suona il Tingvall trio. Che sono uno svedese, un cubano e un tedesco. Ora riuscite a immaginare che frutti possono nascere da questo innesto? Che albero meraviglioso viene su, dentro questo giardino illuminato da tre soli di tre diverse latitudini? Io credo che oggi il giardino ci regali uno dei suoi segreti più belli, di quelli che stanno sotto gli occhi di tutti, ma proprio per questo pochi li vedono veramente. I confini sono linee immaginarie, fatte apposta per essere spostate, spostate, spostate, fino a capire che, come l’orizzonte, non esistono, se non come promessa di superamento.

Edward Albee diceva che ogni paradiso ha le sue frontiere. Ecco, spero che non se ne abbia a male, ma io credo che se esiste un Eden vero, un Eden verso cui valga la pena di guardare, non è davvero possibile, non è possibile pensare che abbia un confine.

 

 

 

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