Lettera di Ken Saro-Wiwa a un amico sconosciuto
dove si chiarisce quale sia la vera prigione
Mio carissimo amico,
dice che la prigione debba trasformarci in esseri solitari e tristi. Dice che serva proprio a questo. Non è vero. Non so chi tu sia, né dove tu ti trovi, eppure nel buio della mia cella, nel mio ultimo giorno, ascolto distintamente la tua voce.
Domani mi impiccheranno. Che disdetta. Io sono uno che sognava il blues, il canto roco in cima alla foresta, la voce alta ululata, il grido della terra d’Africa finalmente liberata, la schiavitù finita: questa era l’America che io cercavo, qui, sotto casa. Loro dicevano guerra, e petrolio. Io sono uno che voleva pace, e idee. Loro dicevano armi, e legname. Io rispondevo sempre: cervelli accesi, brulicanti di pace e di pensieri.
Domattina me ne andrò via, pace a me, che disdetta. C’è ancora tanto lavoro da fare, in faccia a tutto il petrolio di Nigeria, alle cravatte scintillanti, alle mascelle tese. Eppure. Eppure sono certo che né la prigione, né la morte impediranno, un giorno, la nostra vittoria.
Domani me ne andrò, eppure sono certo che non l’avranno vinta.
Domani me ne andrò, eppure non sono riusciti a trasformarmi in un essere solitario e triste.
Pensa che oggi, persino oggi, ho scritto una poesia.
Voglio lasciarti con lei, credo che sarà l’ultima.
Dice, più o meno, così:
Non è il tetto che sgocciola,
né le zanzare che ronzano / nella cella sordida, umida,
non è la serratura che scatta / quando il secondino ti rinchiude,
non è la razione miserabile / indegna di bestia o uomo,
e nemmeno il vuoto del giorno / che affonda nel nulla della notte:
non è questo,
non questo,
davvero, non è questo.
È la bugia martellataci
nelle orecchie da generazioni,
è la furia omicida del poliziotto / che esegue duri ordini disastrosi
in cambio di un pasto orrendo, ogni giorno,
è il magistrato che registra agli atti / una condanna che sa immeritata,
è la carne dei dittatori,
è la codardia vestita da obbedienza / in agguato nelle nostre anime denigrate,
è la paura che ci inzuppa i pantaloni / che non osiamo lavare:
è questo,
questo,
davvero, è solo questo,
caro amico, che trasforma il nostro mondo libero
in una squallida prigione.
* * *
Ken Saro-Wiwa è stato un poeta, romanziere e drammaturgo nigeriano. È stato arrestato con la falsa accusa di istigazione all’omicidio, imprigionato e infine impiccato il 10 novembre 1995. Il vero motivo del suo arresto è stata la sua strenua opposizione contro diversi governi militari nigeriani, e la sua opera in difesa delle terre della tribù Ogoni, cui apparteneva, devastate dallo sfruttamento intensivo delle multinazionali del petrolio e del legname. Nel maggio del 2009 la multinazionale Shell ha pagato alla famiglia un risarcimento di 15 milioni di dollari, ammettendo così il proprio coinvolgimento nell’arresto, nel processo e nell’esecuzione di Ken Saro-Wiwa. La poesia inserita (con qualche adattamento) al termine della lettera è The true Prison (1993).
Foto: Alessandro Melis, “Gira la ruota” (miniera abbandonata, aprile 2010).