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[Nughedu S. Vittoria 09.08.2017] Epistolario delle evasioni #8

Lettera di Ruth First ad un compagno di lotta

dove si racconta la prigionia dell’abitudine

 

Mio carissimo,

dice che la prigionia è come essere sigillata dentro una vasca sterile, dietro il vetro di un acquario in disuso.

È così: la reclusione è un abbandono in un tempo prolungato. Che succede nel mondo esterno? Non lo so. Sono sospesa nel limbo, ignara. Niente arriva fino a me.

Ogni tanto qualcuno viene ad osservarmi e mi lascia una razione di cibo.

 

Nella mia testa faccio giochi infantili. Leggo la Bibbia. Sogno ad occhi aperti. Immagino trame di romanzi.

Scorro le lettere dell’alfabeto cercando nomi di scrittori, compositori, scienziati, paesi, città, animali, frutti, fiori.

Con il passare dei giorni sembra che la mia abilità diminuisca invece di aumentare.

Anche le poesie imparate da bambina svaniscono dalla mia mente.

 

La prigionia è un letargo forzato. Una vita a passo ridotto. Una vita sospesa, una trappola perfetta.

 

Rifaccio il letto con cura, diverse volte al giorno.

Piego e ripiego i vestiti. Preparo la valigia. Spolvero, lucido tutto quello che mi capita sott’occhio.

 Pulisco le pareti con un fazzoletto di carta. Mi limo scrupolosamente le unghie.

Mi strappo le sopracciglia, i peli delle gambe, uno alla volta, con il mio piccolo set di pinzette.

Disfo le cuciture delle federa, dell’asciugamano, l’orlo della vestaglia.

E dopo, usando ago e filo che mi sono procurata di nascosto, le ricucio,

solo per disfarle un’altra volta, e cucirle di nuovo.

 

La routine, amico mio, è la vera trappola di ogni recluso: la solitudine fa assumere alle sbarre la forma del circolo vizioso, e la ripetizione di attività senza senso costringe il prigioniero ad uccidere la propria fantasia, a diventare abitudinario, ossessivo. Sempre pronto a celebrare un rito che lo illuda di un presagio.

 

I giorni. Calcolo la data di continuo. Non mi fido mai dei calcoli, li rifaccio da capo.

Ripeto la filastrocca, Trenta giorni ha settembre, e ricomincio a contare dalla data del mio arrivo.

Il mio calendario è dietro il risvolto della vestaglia. Con ago e filo, aggiungo un punto per ogni giorno che passa.

Ne cucio sette verticali, poi uno orizzontale che li includa tutti, per segnare una settimana.

Ogni tanto esamino i punti e decido che non sono abbastanza ordinati:

devono essere molto più esatti nella loro lunghezza; li sfilo, e rifaccio il calendario, dall’inizio.

In questo modo, ho la sensazione di incalzare il tempo: sono io che creo i giorni, le settimane, i mesi.

 

Ora lo so: sono dovuta entrare in carcere per comprenderlo. L’abitudine è la vera prigione, quella che ci condanna tutti, dentro e fuori dalle mura del penitenziario, nell’illusione di controllare il tempo, ripetendolo. So che è difficile anche solo immaginarlo, ma credo che le sbarre delle nostre infinite prigioni cominceranno a spezzarsi solo nel momento in cui avremo, il coraggio di rinnovare il tempo che abbiamo a disposizione, il coraggio di non ripetere ogni giorno il già detto, il già fatto.

Amico mio, trova ogni tanto una parola mai usata, una parola pura.

Fai ogni giorno qualcosa che ti fa paura.

 

* * *

 

Ruth First è stata uno dei pochi sudafricani bianchi ad appoggiare la lotta dei neri contro l’apartheid. È stata molto vicina a Nelson Mandela, e ha collaborato con diversi giornali descrivendo le pessime condizioni dei lavoratori neri nelle fattorie e nelle miniere. Venne arrestata e incarcerata nel 1963, e trattenuta, senza accusa e senza processo, per 117 giorni. Fu assassinata con una lettera-bomba nel 1982. I brani inseriti nella lettera sono tratti da 117 Days (1965).

 

Foto: Alessandro Melis, “L’abitudine” (centrale elettrica abbandonata, ottobre 2010).

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