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[Nureci 14.08.2017] Epistolario delle evasioni #11

Lettera di Nelson Mandela a chiunque voglia ascoltarla

dove si comprende che il cammino per la libertà è ancora lungo

 

Mio carissimo, anche oggi, anche nel mio ultimo giorno di prigionia, ho desiderio di scriverti. Perché tu sappia esattamente come si sente, un prigioniero, sul bordo del carcere.

Tu penserai, per quello che conosci della mia vita, che io sia nato con la sete della libertà. Non è così. Io sono nato proprio libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Finché ubbidivo a mio padre e rispettavo le tradizioni della tribù, non ero ostacolato da leggi divine né umane.

 

Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quand’ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo.

Più tardi, a Johannesburg, quand’ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività.

 

Ma poi lentamente ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano nemmeno i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. È stato allora che la mia sete di libertà personale si è trasformata nella sete più grande di libertà per la mia gente. E questo desiderio di riscatto ha trasformato un ragazzo impaurito in un uomo coraggioso, un avvocato rispettoso delle leggi in un ricercato, un marito devoto alla famiglia in un uomo senza casa, una persona amante della vita in un eremita.

 

Non sono più virtuoso e altruista di molti, ma ho scoperto che non riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concesse, sapendo che la mia gente non era libera. La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie.

È stato in quei lunghi anni di solitudine che la sete di libertà per la mia gente è diventata sete di libertà per tutto il popolo, bianco o nero che sia. Perché l’oppressore è schiavo quanto l’oppresso: chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità.

 

Qui, proprio sulla soglia del carcere, ancora un passo dentro, tutto il mio sguardo rivolto fuori, vedo ancor più chiaramente il senso della mia missione. Noi non siamo ancora liberi: abbiamo solo conquistato il diritto di non essere oppressi. Abbiamo compiuto solo il primo passo su una strada che sarà ancora più lunga e più difficile; perché la libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma è vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri. La nostra fede nella libertà dev’essere ancora provata. Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare.

 

Adesso sono qui, fermo, solo un istante, per riposare: mi volto indietro a guardare la strada che ho percorso, poi volgo lo sguardo allo splendido panorama che ci circonda.

Posso riposare solo qualche attimo. Assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non posso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora finito.

 

* * *

 

Nelson Mandela è stato il primo presidente del Sudafrica dopo l’apartheid, Nobel per la pace nel 1993. Fu imprigionato per 28 anni nella prigione di Robben Island (1962-1990). Il testo inserito nella lettera è tratto da Lungo cammino verso la libertà (1994).

 

Foto: Alessandro Melis, “Il cammino” (centrale elettrica abbandonata, ottobre 2010).

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