DromosFestival

[Oristano 01.08.2017] Epistolario delle evasioni #1

Lettera di Arthur Koestler a chiunque stia fuori

dove si racconta l’inizio della prigionia

 

Amico mio,

mi chiedi di raccontarti la prigionia: ebbene, sappi che la reclusione comincia sempre con il rumore di una porta chiusa.

 

È un rumore unico. La porta di una cella non ha maniglia, né di fuori né di dentro: non può venir chiusa se non sbattendola. È fatta di acciaio massiccio e di cemento, dello spessore di circa dieci centrimentri, e tutte le volte che si chiude si sente uno schianto come un colpo di fucile.

Questa detonazione si spegne senza eco alcuna.

I rumori di una prigione sono tetri e privi di eco.

 

Quando la porta gli è stata sbattuta dietro le spalle per la prima volta, il prigioniero rimane in piedi in mezzo alla cella e si guarda intorno.

Fa mentalmente l’inventario di tutti gli oggetti che si trovano in quello che è destinato ad essere il suo regno:

 

il letto di ferro / il lavandino / il WC / la finestra con le sbarre.

 

Invariabilmente, il suo gesto successivo è quello di cercare di tirarsi su e guardare fuori dalla finestra, attaccandosi alle sbarre di ferro. Non ci riesce e il suo vestito rimane coperto del bianco dell’intonaco del muro.

Egli abbandona il tentativo.

In questa fase, il prigioniero formula ogni sorta di lodevoli proponimenti; farà ginnastica ogni mattina; imparerà una lingua straniera, non si lascerà assolutamente perdere d’animo. Si spolvera l’abito e continua il viaggio di esplorazione del suo minuscolo regno, lungo cinque passi e largo quattro.

 

Prova il letto di ferro. Le molle sono rotte, la rete metallica incide la carne; è come sdraiarsi su un’amaca di fili d’acciaio. Egli risponde con una smorfia: è deciso ad essere pieno di coraggio e di fiducia in sé.

Poi il suo sguardo si arresta sulla porta della cella: c’è un occhio appiccicato allo spioncino. Quell’occhio lo sorveglia. È un occhio privo di corpo. Per alcuni istanti il cuore del prigioniero cessa di battere.

 

“Diamine”, si dice con tono incoraggiante, “che sciocchezza lasciarsi spaventare così. Devi abituarti a questa faccenda. Fa parte della vita del recluso. Quel funzionario che occhieggia compie solo il suo dovere. Ma non riuscirà a deprimermi, non riuscirà mai a deprimermi. Di notte caccerò della carta nel buco dello spioncino…”

Perché non farlo immediatamente?

Quest’idea lo riempie di entusiasmo.

 

Poi si accorge di non avere con sé nessun pezzo di carta. Il suo impulso successivo sarà di correre dal cartolaio all’angolo. Questo impulso dura solo una frazione di secondo; subito dopo egli diventa consapevole, per la prima volta, della sua situazione.

Per la prima volta afferra la realtà piena del trovarsi dietro una porta che è chiusa da fuori.

Ed è in questa maniera che le cose dovranno continuare nei minuti seguenti, nelle ore, nei giorni, nelle settimane, negli anni. Per quanto tempo è già stato nella cella?

Guarda l’orologio: esattamente tre minuti.

 

* * *

Arthur Koestler, militante comunista e corrispondente di diversi giornali inglesi, è in Spagna durante la guerra civile, dalla parte della repubblica; viene catturato, gettato in carcere e condannato a morte. Vi rimane per sei mesi, da gennaio a maggio 1937. Grazie a pressioni del governo inglese e a una campagna internazionale di solidarietà, viene liberato con uno scambio di prigionieri. È autore di romanzi, saggi, testi teatrali. Il brano inserito (con qualche adattamento) nella lettera è tratto da Dialogo con la morte (1947).

 

Foto: Alessandro Melis, “Prima e poi” (miniera abbandonata, marzo 2010).

Multimedia

Condividi su: