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[San Vero Milis 05.08.2017] Epistolario delle evasioni #5

Lettera di Primo Levi al suo compagno di prigionia, Jean

dove si racconta come restare umani anche all’inferno

 

Mio carissimo Jean,

chissà dove sei ora. Se sei tra i salvati anche tu, oppure tra i sommersi.

Dice che la prigione dovrebbe annientarci la memoria e la volontà, lasciarci inutili oggetti magri chiusi all’angolo. Non è vero, Jean: nessuno lo sa come noi due.

Voglio imparare l’italiano, hai detto, possiamo? Possiamo, ti ho risposto, anche subito, una cosa vale l’altra. Chissà come e perché mi è venuto in mente proprio Dante. Il canto di Ulisse. Sarà che nel Lager non c’è mai tempo di scegliere. Sarà che nel tempo della prigionia uno pensa alle proprie eredità più grandi, alla libertà dei padri e delle madri.

 

Eri attentissimo Jean, ed io ho cominciato, lento ed accurato: Lo maggior corno della fiamma antica / cominciò a crollarsi, mormorando, / pur come quella che il vento affatica. / Indi, la cima in qua e in là menando / come fosse la lingua che parlasse / mise fuori la voce e disse: Quando… Qui mi fermo e cerco di tradurre. Povero Dante e povero francese. E dopo “Quando”? Il nulla. Un buco nella memoria.

Ma misi me per l’alto mare aperto. Di questo sì, di questo sono sicuro. “Misi me” è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera: noi nel Lager conosciamo molto bene questo impulso. L’alto mare aperto. Jean, tu hai viaggiato per mare e sai cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero, dritto e semplice, e non c’è ormai altro che odore di mare.

 

Il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: che sacrilegio. Ecco, Jean, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca: Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e conoscenza. È come se anche io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono. E qui mi hai pregato di ripetere: hai sentito che ti riguardava, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose dentro un Lager.

 

Lo lume era di sotto della luna. Ma prima? Nessuna idea. Scusami, Jean, ho dimenticato almeno quattro terzine. Non fa niente, hai detto, vai avanti lo stesso. Quando mi apparve una montagna, bruna / per la distanza, e parvemi alta tanto / che mai veduta non ne avevo alcuna. Alta, tanto. E le montagne, quando si vedono di lontano, le montagne. O Jean, ti prego, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera, quando tornavo in treno.

 

Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano, ma non si dicono. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: non serve, il resto del canto è silenzio. È tardi, è tardi e bisogna concludere: Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque, / alla quarta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù come altrui piacque. Jean, ascoltami, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo come altrui piacque, prima che sia troppo tardi. Domani tu o io possiamo essere morti, o non vederci mai più: devo dirti, spiegarti qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nel Lager, nella prigionia, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui, come altrui piacque.

 

Chissà dove sei, ora, mio caro Jean, compagno di un miracolo in un giorno freddo di Auschwitz.

La prigionia un giorno ci ha unito, e il giorno dopo ci ha diviso.

“Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.”

 

* * *

 

Primo Levi (1919-1987), sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz, pubblicò “Se questo è un uomo” nel 1947. Questo libro, tra autobiografia e testimonianza della vita nel lager, è stato la sua prima opera pubblicata. Il testo inserito nella lettera è tratto dal capitolo “Il canto di Ulisse”.

 

Foto: Alessandro Melis, “Uscita di sicurezza” (luogo abbandonato, aprile 2010).

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