DromosFestival

2. Antìmoto, bestia ferma

Beastville, 1 agosto 1968

– A che pensi, John? – ho chiesto a John. C’erano fiori immobili e altissimi, lì davanti, conficcati nel cielo.

– Niente di troppo importante. – ha detto John. Ma io sapevo che non era vero. Tutto quello che John pensa ha a che fare con l’essenziale.

– Dimmi – ho insistito – Non ballare da solo, John.

– Pensavo che uno dei significati di “rivoluzione”, e non il più scontato, ha a che fare con il camminare. L’insieme di due passi umani, uno con una gamba, uno con l’altra, si chiama “rivoluzione deambulatoria”. Lo sapevi?

– È interessante – ho detto a John. I fiori davanti a noi cominciavano a danzare, nel fumo scarlatto del pomeriggio alcalino.

– È intelligente, questa scelta – ha proseguito John – Perchè non uno, ma almeno due devono essere i passi, per la rivoluzione. – Così ha detto, passandomi la cicca. E io sono rimasto zitto e immobile. Galleggiavo con lui nell’aria friabile color zucchero.

– Come va con il tuo Bestiario? – mi ha domandato all’improvviso.

– Ho pensato la seconda bestia – gli ho risposto.

– Un passo solo può essere un caso, ma due sono già una sana abitudine di cammino. – Così ha detto.

– Immagina, John – gli ho risposto.

 

Immagina una bestia orribile che nessuno ha mai visto camminare. La chiameremo Antìmoto. A prima vista lo diresti quasi una pietra, con la corazza sua dura e cartilaginosa esposta a coprire il resto del corpo dalle intemperie, come una grande tartaruga cieca. Se lo guardi da sotto, invece, l’Antìmoto sembra un fungo, piantato nella terra con le sue zampe immobili, e i piccoli che sembrano germogliargli intorno, famelici, ma fermi.

L’Antìmoto non si muove. Detesta anche solo l’idea del movimento. Alcuni sostengono addirittura che il suo apparato visivo sia costruito per vedere solo cose ferme. Se ti muovi, l’Antìmoto non ti vede, ma se ti fermi vicino a lui, sei spacciato: apre la sua corazza e ti divora.

 

– Ma è orribile, questa tua bestia – ha detto John. Ora l’aria era ferma, e ci pesava addosso, una coperta di alghe, profumata ma soffocante nel pomeriggio alto come un grattacielo.

– Eppure ci sono momenti in cui tutti siamo come l’Antìmoto. – Ha detto John.

– Che vuoi dire? – Gli ho chiesto.

– Immagina, ognuno di noi qui, me o te, che torniamo bambini, con pochi mesi di vita sulle spalle, così pesanti, quei pochi mesi, che nessuno all’inizio riesce a portarli, ad alzarsi sui piedini piccoli e fragili. Ehi, mamma, dammi una mano, non ce la faccio da solo! Ehi, papà mio, che fai lì distratto? Alzami, prendimi, non ce la posso fare senza di te! Così pensiamo quando siamo bambini. Ma anche quando cresciamo e come ora ci possiede questa terribile pesantezza, non posso camminare, non ci riesco, ma ci sono gli altri, ci sono gli altri. Poi, per fortuna, arriva un giorno che sentiamo il dovere di alzarci in piedi e di mettere avanti un primo passo (magari è un caso) e poi un secondo (no, è davvero un’abitudine bella e nuova). Camminare, che rivoluzione. – Così ha detto John, e non capivo più di chi parlava, se di me, di se stesso, di tutti noi. Lo vedevo sprofondare nella sabbia mobile color viola del pensiero – Dammi un pezzo del tuo cristallo – mi ha detto, tendendomi la mano.

- Immagina, John, gli ho risposto.

 

L’Antìmoto è un ibrido tra l’animale e l’albero, non si sposta neppure davanti a un crollo, a un pericolo, a una frana, a un terremoto. Aborre così tanto il movimento, che preferisce stare lì, a prendersi la catastrofe sulla testa, muore schiacciato piuttosto che spostarsi.

Belva pericolosissima, l’Antìmoto tace, nascosto nella terra, mimetizzato da pietra muschiosa. Rimane lì, invecchia immobile, non vede e non sente se non per attendere che qualcuno si avvicini. Vera sventura è, imbattersi nell’Antìmoto, bestia dilaniante, mostro che si nutre del movimento degli altri.

 

Quando ho finito il mio racconto, ho visto che John aveva l’aria triste, c’era pioggia nel suo cuore.

– Oggi mi ha fatto male, la tua bestia, inceppata e ferocissima. – Così ha detto John.

– Mi sono solo guardato intorno. – Gli ho risposto – Ho sentito pronunciare “nomade” come un insulto. Come se il camminare, il cambiare luogo, il viaggio non potessero essere anche una possibilità, una forma del futuro. John si staccava dal suolo, lentamente, dentro i lampi fluorescenti di un film etilico.

– Tu agitati, balla e urla, piccolo mio, non li ascoltare mai, i funghi attaccati alla loro terra, qui ora e sempre, incapaci di alzare gli occhi, di mettere i piedi avanti, bambini eterni che alzano la testa solo per divorare chi gli si avvicina. – Così dice John, mentre lo guardo diventare trasparente, come una vela aperta contro il sole. – Agitati, balla e urla. Per chi è nato fermo – dice – due passi sono già una rivoluzione.

 

 Immagine: ANTÌMOTO, elaborazione grafica di A. Melis (da Konrad W. Lycosthenes, Prodigiorum ac ostentorum Chronicon, 1557)

 

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