Beastville, 3 agosto 1968
– Che hai John? – Così ho chiesto a John. Aveva un’aria maltrattata e sdrucita, da chitarra stanca.
– È la notte di un giorno duro – mi ha risposto – ho lavorato come un cane, dovrei già dormire come un sasso.
– E perché non dormi allora? – Gli ho domandato, passandogli la cicca.
– Ho un maledetto rumore nella testa – Mi ha detto lui – Vedo mari di foglie tempestose, e sottomarini gialli – Mi guardava con aria preoccupata, alle sue spalle il cielo sembrava di gomma. – Quanto è grande, il verde? – Mi ha domandato.
– Dobbiamo cambiare qualcosa nella nostra chimica. – Gli ho risposto.
– No – mi ha detto lui – dobbiamo cambiare il mondo.
John è fatto così, niente misura, niente pace, niente momenti morti.
– Come va col Bestiario? – mi ha domandato all’improvviso.
– Ho anch’io un maledetto rumore nella testa.
– Però un’altra bestia ce l’hai, non è vero? – Così ha detto John, che guarda nella mia mente come dentro un pozzo.
– Immagina, John – Gli ho risposto.
Immagina una bestia gigantesca e chiassosissima che vive nel deserto incandescente. La chiameremo Polìclamo.
Sul suo grande corpo di rettile poggiano sette teste urlanti, nessuna delle quali guarda nella stessa direzione. Per questo il Polìclamo spesso ignora dove andare, guidato da sette diversi desideri, e resta fermo, immobile sotto il sole bruciante del deserto, in attesa che i suoi sette cervelli si mettano d’accordo. Forse è per questo che del Polìclamo conosciamo soprattutto gli scheletri, che spesso si vedono spuntare, scarnificati e asciutti, tra le dune. Si dice che il mostro muoia, urlando nel deserto, privo di cibo e d’acqua, proprio perché sovrastato e infine ucciso da una perenne indecisione.
– Creatura insana – ha detto John, sorridendo e chiedendomi altro fumo.
– Parli del Polìclamo? O parli di me? – Gli ho chiesto, passandogli la cicca.
– Vale per entrambi, quindi ti lascerò nel dubbio – mi ha risposto ridendo.
E poi ha aggiunto, tornando serio: – C’è un modo di dire, che si usa quando qualcuno, irritato o inferocito per qualcosa che non gli va giù, sbraita per la rabbia, ed esagera. “Se non fate come dico io, faccio una rivoluzione!” dice. Normalmente poi non mantiene quello che promette. È solo un modo di cercare di convincere gli altri, sventolando goffamente una minaccia.
È rimasto un attimo zitto, John, guardava il cielo. Era una sera magnifica. Le nuvole avevano forma di desiderio ocra, e di lucciole verdi che ballano il tango tra le foglie.
– Te lo ricordi? – mi ha domandato all’improvviso – Ce l’abbiamo tutti, nell’infanzia, un ricordo così. Quel marmocchietto insopportabile, quello che quando giocava si teneva sempre lui la palla, non la passava mai perché voleva fare lui il goal della vittoria, e puntualmente si arrabbiava, e diceva che no, in realtà era dentro, che il tiro non era regolare, che c’era il fallo, e mille altre scuse per non decidersi ad accettare la sconfitta. Tutto andava bene, pur di vincere fuori dalle regole. E quando glielo facevi notare, prendeva la palla, e minacciava, gridando isterico: “Se non ricominciamo, se non azzeriamo il punteggio, se non mi dai la vittoria, prendo la palla e me ne torno a casa!”. Che la palla spesso l’aveva portata lui. Ma tanto non se ne andava mai. E dove doveva andare? A starsene solo in casa a guardarsi il suo pallone bellissimo e inutile? – Così ha detto, John, e l’ho visto che fissava un punto altissimo nel cielo, come una piccola lacrima color diamante.
– Immagina, John – gli ho detto, per distrarlo.
Immagina il verso del Polìclamo, un rumore senza effetto, un verso a sette voci prodotto dalle sue sette gole, frastornante grido che sale dalle sabbie. Si dice che molti viaggiatori siano rimasti rapiti da quel canto disorganico, nell’impossibile desiderio di cogliervi un qualche nascosto significato. Si dice che, tentando di decifrare il multiplo richiamo del Polìclamo, molti siano rimasti colpiti dalla feroce calura del deserto, e così siano caduti e scomparsi, insieme al mostro. Si dice anche che sui volti spenti di quei viaggiatori sfortunati ancora si potesse leggere l’inquietudine della domanda: quale dei sette volti è quello giusto? quale delle sette voci dice la verità? che cosa si nasconde dietro l’oscuro, disordinato enigma del Polìclamo?
– Quante domande – Mi ha detto John –
– È la notte di un giorno duro – gli ho risposto – domande tante e risposte pochissime.
– Fare una rivoluzione è roba seria – ha detto John. – Se fai buone domande, le risposte arriveranno.
– E nel frattempo che dobbiamo fare? Gli ho chiesto.
– Intanto tu immagina. Immagina cosa puoi trovare, dietro al chiasso. Immagina nuove regole per la partita. Immagina il colore giusto, quello che può metterci d’accordo, e farci uscire dal deserto prima che moriamo tutti, perduti nel conflitto. E poi immagina rivoluzioni che non si gridano e non si minacciano soltanto, ma si fanno. – Così ha detto John, e la sera era di sabbia, e le nuvole erano dune, c’erano cammelli viola a galleggiare, nell’aria tiepida color allucinazione.
John era lì, in mezzo ad un campo senza confini – Guarda quanto è grande, il verde – ha detto. Ha messo il pallone lì, sull’erba sconfinata e ha detto: – La rivoluzione che cambia la vita talvolta è solo capire dove indirizzare il tiro. Immagina. Un calcio perfetto, dato nel silenzio, proprio al centro del cielo.
Immagine: POLÌCLAMO, elaborazione grafica di A. Melis [da Alberto Saba, Rerum Naturalium Thesaurus (1734)]