Beastville, 6 agosto 1968
John mi stava accanto, canticchiava a bassa voce disteso sulla notte, davanti al fuoco del cielo d’agosto. Era lì, ed era anche altrove.
– A che pensi, John? – Gli ho chiesto.
– Penso a quando tutto è cominciato – Ha detto – Ci credi che non riesco a ricordarlo?
– Non ricordi proprio nulla? – Gli ho domandato, preoccupato.
– No, no – Mi ha risposto lui per tranquillizzarmi – Ricordo quasi tutto. Quasi, però. E se non ricordi tutto, a volte, è come non ricordare niente – Così ha detto John, mentre il cielo si faceva curvo, e la luna diveniva gigantesca, che potevi toccarla, come un grande fiore di carne d’alluminio. – Che fai, se ti sei perso il dettaglio essenziale? – Ha domandato John perduto.
– Immagina, John – Gli ho risposto.
Immagina un gigantesco cetaceo, che vive per millenni e non conosce oblio. Lo chiameremo Capovolvo. Ogni dettaglio, ogni momento, ogni piega del mondo che gli sia dato d’incontrare, il Capovolvo la ricorda sempre, e quella memoria sa usarla per orientare il suo viaggio, sa concepirla come traccia che indichi il cammino. Per questo, da un certo momento in poi della sua vita lunghissima, il Capovolvo più che vivere ritorna, segue i passi che ha già tracciato, va avanti eppure torna a ricordare, e proprio grazie ai ricordi trova la strada, e vive. Se potessimo tracciare sopra un mappamondo la vita di questa bestia millenaria, potremmo vedere il pianeta nostro solcato dalle linee vertiginose del suo nuotare in vortici e spirali senza fine, come vene viaggianti sotto la pelle dell’acqua, a portare linfa di memoria e di storia dentro la carne del mondo.
– A volte sono davvero consolanti, le tue bestie – Così ha detto John – Nel frattempo, però, siamo circondati da grandi rivoluzionari, che amano vedere le cose rovesciate. Ah, come gli piace, osservare la grande statua venire giù, crollare, abbattersi violenta nella polvere, Crolla!, gridano, Attenzione giù di sotto, crolla! E sotto la folla sorride, entusiasta, sventola le sue magnifiche rivoluzionarie bandiere. Che la rivoluzione è spesso una festa grande, di popoli che si liberano da catene secolari, colori mai visti che popolano il mondo, facce giovani e fresche che riempiono le strade, musica mai sentita che precipita come una cascata dissetante dentro gli orecchi, vigore e forza, energia nuova – Così ha detto, John. Ma aveva voce triste, anche se parlava dei suoi sogni più grandi. La luna, intanto, apriva e chiudeva le sue palpebre, come un occhio di metallo.
– Cosa è che ti rattrista, John, cosa? – Gli ho domandato.
– Non so, è che a volte nella furia perdiamo dettagli importanti. A volte, “Libertà!, libertà!”, diventa, “Via!, via!”, via tutto questo vecchio orrore. Facciamo saltare i ponti, bombardiamo i vecchi edifici, spianare, via con le ruspe, spinger via le macerie, rottamare, vecchiume, vecchiume! Non mi convince, questa idea dei grandi rivoluzionari che amano rovesciare tutto. I tavoli, le città, le abitudini, le nazioni. Amano cancellare perché solo così, dicono, solo su una pagina completamente bianca si può ricominciare a scrivere. Anche l’imperatore Nerone, grande rivoluzionario, diceva di dover bruciare tutto per poter ricostruire. Dicono di averlo visto suonare la lira, dicono che cantava e piangeva, davanti a Roma devastata dalle fiamme che lui stesso aveva fatto accendere. Così ha detto John, guardando la luna – Chissà se riusciremo a coglierla, un giorno, prima o poi – Ha detto, con desiderio.
– Perché la vuoi? – Gli ho domandato.
– Perché è una delle cose che non posso ricordarmi. – Mi ha risposto, ambiguo.
Il Capovolvo ricorda tutto. Raccoglie le storie che incontra nel suo viaggio, le porta con sé, e le canta, da una sponda all’altra. Scende giù negli abissi, cerca le ombre dove stanno le radici delle cose, cerca con fatica di non dimenticare neppure una goccia di tutto ciò che trova di sacro e di salvabile nel mondo. E quando ha terminato il suo raccolto, canta. Che il Capovolvo è bestia dalla voce elettrica e baritonale, si dice che il suo canto si senta a miglia e miglia di distanza, nella notte vertiginosa del suo concerto sotto il mare. Bestia solitaria e magnifica, il Capovolvo ha cuore immenso, che occupa quasi intero il suo corpo gigantesco di mammifero marino. Si dice che pochissimi abbiano avuto in sorte di vederlo. Ma si dice che il battito del suo cuore si senta a riva, nelle notti di plenilunio, sollevarsi potentissimo in una marea millenaria di desiderio e di memoria.
Così ho detto, e ho visto che John si era fatto di nuovo luminoso, già tornavano a brillare i diamanti, lì proprio al centro della sua mente.
– È quello che ci voleva, oggi, questa tua bestia. – Così ha detto John – Vorrei che esistesse davvero, vederla qui, qui davanti, nel mare, sentirla cantare e fare luce, davanti a questo cielo nerissimo e bollente. La tua bestia è come un antenato che è passato di qua molto tempo prima di noi, e può raccontarci come è andata, dirci che strada prendere, quali vie sbagliate non tornare a percorrere. Ma sarà qui anche molto tempo dopo di noi, e allora è come una specie di figlio futuro, a cui raccontare quello che abbiamo imparato, perché sia lui a non sbagliare la strada – Così ha detto, John, e aveva di nuovo un sorriso ampio e lucente, come una costellazione – A volte – ha aggiunto – la rivoluzione più necessaria non è il rovesciamento e la distruzione. È il ritorno a casa, la raccolta di storie, la memoria. E, forse, persino la nostalgia.
Immagine: CAPOVOLVO, elaborazione grafica di A. Melis [da Ulisse Aldrovandi, Monstrorum Historia (1642)]