DromosFestival

6. Caòsfero, bestia contraria

Beastville, 8 agosto 1968

– Guarda lassù, John – Così ho detto a John, indicando lo Zeppelin nel cielo. I girasoli dormivano lontani, all’ombra del lato oscuro della luna.

– Cosa devo guardare? – Mi ha domandato lui.

– Non lo vedi, lo Zeppelin che brucia il cielo? Sembra una cometa esplosa di fiamme azzurre – Così ho detto io.

– No, sembra un’eclissi color dimenticanza. – Ha ribattuto John.

– No – ho detto io, raccogliendo la sfida – ha la forma di una galassia che esplode in una risata.

– No, invece – Mi ha risposto John, ridendo del gioco – è come una gigante rossa che si diverte a piangere, nel giorno della Rivelazione.

– Passami la cicca, e smettila di contraddirmi – ho detto io. Lo Zeppelin nel frattempo era scomparso, nel giallo immenso della notte isterica.

– Te la passo solo se hai un’altra bestia da raccontarmi.

– Se c’è una cosa che non mi manca, sono le bestie – gli ho risposto. Nel cielo galleggiavano ancora frammenti di tela esplosa, come pennellate color furia, nel cielo di ossidiana.

– Immagina, John – ho detto.

 

Immagina un animale sfuggente e imbizzarrito, imprevedibile e insensato. Lo chiameremo Caòsfero. Nulla in questa bestia accade secondo la logica comune. La sua temperatura smentisce le stagioni: molti affermano di averlo visto sulla neve, strapparsi via la pelliccia per affrontare nudo quella che per lui è la canicola rovente dell’inverno, o al contrario far la muta, e infoltirsi la lana, per affrontare, tremante, il gelo estivo. Altri l’hanno visto bere avidamente ad una pozza d’acqua e quello – dicono – è il suo modo di dormire. Nessuno sa spiegare l’incredibile fisiologia del Caòsfero. Ma tutti sono concordi nell’affermare che, per togliersi la sete, questa bestia senza legge si arrampica sugli alberi e rimane immobile a farsi bagnare la lingua dai raggi della luna.

 

John ha riso, e mi ha passato la cicca. – Interessante, questa bestia tua che dice no.

– Che vuoi dire? – gli domando, aspirando lentamente il fumo.

– Mi fa pensare a quelle donne e uomini che ogni tanto decidono di ribaltare il punto di vista sul mondo. No, dice Copernico un bel giorno. No no, mica è vero che noi ce ne stiamo in mezzo in mezzo all’universo, con tutte queste stelle e pianeti a girarci intorno. A noi, sovrani assoluti messi qui nel centro. No, no. Noi si viaggia a bordo del pianeta, anche qui, anche ora, a velocità vertiginose, tenetevi forte (Copernico non lo sa, ma noi oggi conosciamo addirittura il ritmo del nostro viaggio siderale: proprio adesso, qui, andiamo a 106.000 km/h, nel nostro giro intorno al sole; a 792.000 km/h, corriamo con tutto il nostro sistema solare dentro la via Lattea; a 3.600.000 km/h, schizziamo via con tutta la nostra galassia, nell’espansione dell’universo intero. Velocità illegalissime, ma non per l’autovelox di Dio, amico mio, non ti spaventare, guarda che vento meraviglioso ti fa l’universo tra i capelli) – Così dice John, e io d’istinto mi attacco forte al suolo, non sia mai che tutto questo tempo, che ci scorre accanto, mi afferri e mi porti via con sé dentro lo spazio.

– No, dice Rosa Parks, in un bel mattino del 1955, No, proprio no. Chi lo dice che questo posto d’autobus è riservato ai bianchi? Io mi siedo, sono stanca e la stanchezza non ha la pelle nera. La arrestano, la portano in giudizio, lei vince, ed è la fine dell’apartheid negli Stati Uniti d’America razzisti. (Rosa Parks lo intuiva, e noi oggi lo sappiamo, conosciamo come è fatto il nostro corpo giù giù fino alle minute forme delle cellule, sappiamo che non esistono razze a dividere gli uomini, amico mio, immagina, come sarebbe bello veder morire questa parola senza senso, vedere lei invece dei fratelli, spegnersi affogata dentro il mare) – Così dice John, guardando le barche che esplodono come Zeppelin nel cielo.

 

È bello sentir cantare i Caòsferi nella notte, anche se i fisiologi giurano che quello non è un canto, ma un modo di digerire il cibo, prima di dormire. È bello vederli volare in giro per il cielo, con le loro ali a forma di coda e le loro orecchie a forma di ali. È bello vedere le loro acrobazie, che sembrano una danza a testa in giù dagli alberi alla terra, con la piccola proboscide oscillante, anche se alcuni etnologi si sono spinti ad affermare che quella danza è il modo che ha, il Caòsfero, di morire. Non si sa quanti siano i Caòsferi sul pianeta. È probabile che siano in estinzione.

 

Così ho detto, e John si è messo per un attimo a cantare. Era una reazione senza senso, ma John segue sempre soltanto le sue leggi.

– Ti è piaciuta la mia bestia disubbidiente? – Gli ho domandato alla fine.

– Non è affatto disubbiente – ha detto lui – Ha solo imparato ad ubbidire a se stesso, anziché alle leggi altrui. Come Copernico, come Rosa Parks, ubbidienti a ciò che un giorno si presenta con evidenza incancellabile: la vertigine della terra in moto nello spazio, anche quando tutti ti dicono che la terra è ferma. L’amore per il genere umano, tutto intero, anche quando qualcuno ti dice che quello lì non è il posto per loro. Immaginala sempre, una bestia senza legge, nel mondo, messa lì a sparigliare le carte – Così ha detto John. E poi è rimasto lì, in silenzio, a guardare nella mente la danza del Caòsfero, questo artista della libertà e dell’assurdo, bestia serena della rivoluzione.

  

Immagine: CAÒSFERO, elaborazione grafica di A. Melis [da Ulisse Aldrovandi, Monstrorum Historia (1642)]

 

 

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