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7. Cardìvago, bestia incompleta

Beastville, 9 agosto 1968

– Dove sei, John? – Ho chiesto a John. Eravamo accanto, ma eravamo anche lontani. Al tramonto il lago sembrava una vasta pozzanghera d’oro, una filigrana esplosa di luce.

– Sono qui che penso – Mi ha risposto John. Raccoglieva oro con le mani, e ci si rivestiva i sogni.

– A che cosa pensi? – Gli ho domandato io.

– A nulla – Mi ha risposto lui – Al nulla che abbiamo da qualche parte di noi. Al nulla che ci fa male, e che è così bello guardare. – Così ha detto John, e rimaneva in silenzio, perduto a fissare quell’abisso bianchissimo. – Al nulla – Ha ripetuto. E io ho visto chiaramente che la sua puntina incontrava un graffio, incontrava un graffio, incontrava un graffio e continuava a saltare, non riusciva a riprendere, incontrava un graffio, John, nella notte musicale. Dovevo far qualcosa, per portarlo fuori dalla sua spirale al vinile.

– Immagina, John – gli ho detto.

 

Immagina un animale che nasce privo del cuore, e trascorre la sua vita a cercarlo. Questo animale lo chiameremo Cardìvago. Lo si riconosce per la cavità vuota aperta in mezzo al petto, ampia cicatrice che il Cardìvago tenta di riempire. Si può vivere, senza cuore – la natura conosce mille strade per creare la vita – e infatti il Cardìvago è dotato di sangue leggerissimo, che viaggia avanti e indietro nel suo corpo, solo sfruttando la forza di gravità o quella del vento, senza alcun bisogno del muscolo cardiaco. Eppure molti sembrano scorgere nel Cardìvago un’aria malinconica, sembra che esso percepisca la mutilazione, e anche se si dedica a comuni occupazioni, come mangiare, bere o riprodursi, buona parte del suo tempo è dedicata a cercarsi il cuore, smarrito da qualche parte nelle lontananze del mondo.

 

Così ho detto, e mentre il colore dell’oro rimbalzava tra cielo e lago in un tappeto di fili luminosi, ho sperato che John decidesse di aggraparsi a quei fili, per spiccare il salto e giocare a fare le sue solite acrobazie di luce.

– Lo sai – ha detto all’improvviso – lo sai che uno dei significati di “rivoluzione”, ha a che fare proprio con il cuore?

– Non ne avevo idea – Gli ho risposto, felice di averlo ricondotto accanto a me. Ho bisogno di John, John è lo sguardo che mi manca, quello che mi completa.

– L’insieme dei due battiti – Ha detto John – il primo che riempie il cuore di sangue, e il secondo che lo spinge in giro per il corpo, questo doppio movimento che ci tiene vivi si chiama “rivoluzione cardiaca”. E sai cosa vuol dire, questo? Che una rivoluzione avviene costantemente dentro il nostro corpo, anche quando non ci pensiamo, anche quando non lo vogliamo. Immagina, amico mio, è una vera tempesta, uno sconvolgimento dentro di noi, fatto di correnti, di discese e risalite, di cellule che si scambiano continuamente. Tutto nuovo, ogni due passi, tutto rinnovato, quanto tempo ci vuole a cambiare completamente, a rifare il vestito al corpo? Due mesi, appena due, o un anno, non so dirlo, ma prima o poi nessuno di noi ha più addosso una sola cellula che non sia cambiata, tutto nuovo, la pelle, le unghie, i capelli, le ossa, e tutto perché abbiamo questi fiumi rivoluzionari che vanno e vengono lungo le nostre strade, dentro il nostro corpo vivo – Così ha detto John, entusiasta, e io ho sentito il mio corpo che si mischiava con la luce colorata del lago.

– È bello pensare che nessuno vive, se non ha in sé il germe della rivoluzione – Così gli ho detto.

– A meno che non sia nato senza cuore come la tua bestia – Mi ha risposto lui, sorridendo.

 

Il Cardìvago cerca il cuore che è suo, ovunque sulla terra. Sa che esiste, deve solo trovarlo. Crescono nelle grotte, i cuori di Cardìvago, o al fondo dei pozzi, o negli abissi del mare. Crescono in luoghi oscuri e nascosti, ed è là che il Cardìvago cerca il suo, si inoltra, si rabbuia, si inabissa. È vero che alcuni Cardìvaghi vivono una vita intera senza trovarlo, il cuore che li faccia interi, e falliscono il compito che la natura gli ha affidato. Ma quelli che ci riescono, quelli che raggiungono l’abisso giusto, che trovano l’incastro, quelli li puoi sentire cantare per giorni e per infinite notti. Si dice sia una vera fortuna vedere un Cardìvago mentre prende il cuore e se lo incastona in petto, e scorgere l’oro che gli brilla nello sguardo quando ne sente per la prima volta il battito. Si dice che plachi ogni tempesta, quel canto. Si dice che guarisca da ogni male, la gioia del Cardìvago finalmente intero.

 

Così ho detto. Attendevo che John dicesse qualcosa della mia creatura e invece taceva, nel cielo verde del sole tramontato.

– È bello – ha detto alla fine – È bello immaginare di poterlo trovare, il pezzo che ci manca, è una lotta che vale la pena. Immagina di cercarlo in cieli color fragola. O nelle profondità di uno sguardo color meraviglia. Immaginalo sulla prua di una nave amaranto che tramonta a sera. Immagina. Forse è la rivoluzione più difficile e necessaria, quella che ci farà tornare tutti quanti bestie felici. E intere.

  

Immagine: CARDÌVAGO, elaborazione grafica di A. Melis [da Konrad W. Lycosthenes, Prodigiorum ac ostentorum Chronicon (1557)]

 

 

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