Beastville, 11 agosto 1968
– La senti, la carne del pianeta, John? – Così ho chiesto a John. Ce ne stavamo sdraiati sull’erba, con la schiena appoggiata al cuore animale del mondo, e le braccia distese e conficcate nell’umido della terra. Gli alberi tutto intorno a noi sembravano sorgere direttamente dalle nostre dita.
– C’è un grembo accogliente, proprio al centro del mondo, proprio là, dove abbiamo le radici nostre più buie e nutrienti. – Così ha detto John, mentre gli alberi scuotevano le foglie, i rami e le spine. Sembrava che ci volessero afferrare e prendere fra loro, per farci parte del bosco.
– Ci sono giorni in cui la terra mi spaventa – Ho detto – Mi riempie di terrore la sua oscurità umida, sepolcrale e soffocante. Ma ci sono giorni come oggi, invece, in cui vorrei immergermi nella terra come in un mare, affondare laggiù fino a bagnarmi di vita, e ricrescere in superficie, foglia d’erba.
– Forse – Mi ha detto John – dovresti scriverla, una bestia sotterranea e vitale.
– In realtà l’ho già fatto, John. Immagina.
Immagina un animale che nasce, cresce, vive e viaggia in ogni parte del mondo, senza mai emergere oltre la superficie del suolo. Lo chiameremo Geodonte. Bestia rapida e ritrosa, pochissimi hanno avuto in sorte di vederla: un contadino che scavava un canale nel suo campo, un tombarolo in cerca di tesori, un ingegnere che sondava un giacimento di petrolio, un pastore che costruiva un pozzo. E tutti sono concordi nel descrivere il Geodonte come un lunghissimo serpe color notte, che guizza dentro la terra, proprio come fa un pesce dentro l’acqua. Grandissima forza possiede il Geodonte, ma pacifica: anche scoperto mai attacca, ma si limita a scomparire rapido nel suo cunicolo vertiginoso. Perciò quasi nulla si conosce della sua fisiologia e delle sue abitudini, ma è certo che si muova senza sosta sotto la superficie del suolo, che viaggi da un continente all’altro, scavandosi la via sotto i campi e sotto i boschi, sotto le città e sotto le strade, e persino sotto le dorsali rocciose degli oceani e sotto le sabbie dei fondali.
– Una bestia buia, hai immaginato – Così ha detto John – Eppure sembra una bestia felice. Siamo sempre convinti che la bellezza stia solo nella luce. Siamo portati a diffidare dell’oscuro. E invece, guarda: è proprio dal buio della terra che viene un’idea di movimento, una spinta al viaggio. – così ha detto John, perduto tra le foglie e l’immensità del notturno.
– Pensa, amico mio, pensa all’ombra da cui tutti sorgiamo, che buio è il grembo fertile delle madri, buia è la stanza del nostro sonno che ci fa sani e riposati, buio il sogno, dove andiamo a pescare le nostre più colorate immaginazioni, buio il corpo nostro che vive, perché lavorano nell’ombra gli organi, buio il sangue che ci nutre, buio il cervello che ci pensa, anche qui, anche ora, nel buio vengono le idee, chiudi la porta del giorno per i pensieri più profondi e abissali, buia è la notte del concerto, buia l’eclissi dell’abbandono alla carne e alla danza, buia la radice dell’albero da cui tutto s’innalza. – Così ha detto John, e io lo ascoltavo, anche se non ero certo di comprenderlo del tutto.
Molte ipotesi esistono sui motivi che spingono il Geodonte al suo incessante buio viaggio sotterraneo. Alcuni sostengono che egli si nutra della terra che scava, ma non sanno spiegare il suo insaziabile desiderio di terre nuove e nuovi luoghi di cui nutrire il suo immenso corpo di serpe. Altri osano affermare che possieda una qualche debole intelligenza dei luoghi che attraversa, e dunque una curiosità cieca, una irrazionale fame del nuovo spingerebbe il suo andare per il mondo. Altri ancora, e sono i più sognanti, si spingono a ritenere che il Geodonte viaggi avanti e indietro sulla terra per rimescolarla, per riconoscere differenze e somiglianze, e per diffondere semi nuovi nelle terre sterili. Bestia nascosta e necessaria, il Geodonte rivolta la terra da parte a parte, e così la tiene unita, la tesse tutta insieme e la feconda.
Così ho detto, e ho atteso che John parlasse.
Ma John non parlava, era assorto a guardare le chiome degli alberi sopra di noi, il viola della luce estiva, o chissà quale immagine al neon intermittente dentro il buio della sua testa.
– A che pensi, John? – Gli ho detto, alla fine – Non ti ha convinto la mia nuova bestia?
– Mi ha convinto così tanto – ha detto – che mi sono inabissato nel pensarci. La tua bestia rivolta il mondo, eppure è capace di farlo in pace, nel suo buio silenzio. Rivolta perché rimescola, rigira e rifonde insieme, con intelligenza e forza. Se hai il coraggio notturno di rovesciare il quadro, quello che sembrava un nemico diventa un volto di uomo. Se rimescoli i suoni, quello che sembrava rumore assordante diventa un canto. Se rivolti la terra, ciò che sembrava arido e spento torna pronto per la semina. E allora la rivoluzione non ha niente a che fare con la distruzione, ma piuttosto con il rimescolamento, l’intreccio e l’unione. E chissà che, davanti a un mondo pieno di ferite e dolore, “rivoltare” non possa anche voler dire “ridare un volto”. Restituire alle cose e alle persone i loro sguardi, ripulirli, sanarli. Rivoltarli per restituirli alla vita e alla sua radice, saldi nella terra e pronti al balzo verso il cielo, proprio come questi alberi.
Immagine: GEODONTE, elaborazione grafica di A. Melis [da Ulisse Aldrovandi, Serpentum et Draconum Historiae (1640)]